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Arte privata e arte pubblica, commercio e turismo: due storie pavesi possono spiegare come sia difficile, ma stimolante far dialogare economia e senso del bello. Creando opportunità, sbocchi professionali, valorizzazione di un territorio. Le storie camminano con le gambe degli uomini. Spunti da raccontare.

Patrizia Lodi, un Museo per ripartire. Per la dottoressa Patrizia Lodi della Soprintendenza ai beni artistici e architettonici della Lombardia, il museo della Certosa, di cui è direttrice, è un cruccio pesante (che toglie il sonno, assicura lei) e un dono del Cielo da far rendere di più (assicura sempre lei). Ha ragione. Defilato rispetto alla facciata spezza fiato della Certosa di Pavia, il Museo della Certosa è una delle sette meraviglie Lombarde (tanto per parafrasare classifiche celebri). Una preziosa gipsoteca, i dipinti del Bergognone, di Bernardino Luini (ora esposti a Palazzo Reale dove si paga il biglietto, mentre a Pavia si va a offerta), uno studiolo affrescato che sembra una Sistina in scala: il museo è un punto di riferimento culturale e turistico di prima grandezza, La direttrice lotta, in silenzio, contro una burocrazia assordante per chi gestisce beni culturali (ufficio senza fax, senza computer, materiale di cancelleria da riciclare). Tiene aperta questa Camera delle meraviglie con volontari e tanta buona volontà. La dottoressa Lodi non demorde, cerca sostegni per una sfida che potrebbe rendere più bella l’immagine di un’intera provincia. Coraggio e volontà. Possono non bastare. Ma sono un punto di partenza.

Luca Sforzini, galleria global. Luca Sforzini da Casteggio si appassionava d’arte quando i suoi coetanei avevano appena smesso di scambiarsi le Panini, ma si impennavano ancora con i 125. Poi la passione è diventata una professione. Quindi un’attività con i propri spazi commerciali. L’ultimo creato a Casteggio nella zona del Pistornile. Piccola galleria, grandi idee per far cultura d’arte (le serate dedicate a Christo e alla Street art hanno fatto il pieno con gente in piedi aspettando di entrare). Il vendere quadri e il far perizie in giro per l’Italia (è questo il lavoro del giovane gallerista pavese) richiede però  idee nuove. Sforzini da Pavia ha provato così a rompere i confini locali fatti anche di noiose camarille   (cosa vendi tu, cosa vendo io). Oltre Pavia, il mondo. E il mondo è anche Amazon la più grande rete di vendita on line.  Amazon ha ampliato, di recente, i propri ambiti anche nel mondo dell’arte, scegliendo gallerie in grado di rispondere a requisiti  di professionalità e certificazioni. Su  Amazon Fine Art c’è al momento solo una galleria pavese, lombarda: quella di Luca Sforzini. Cogliere l’attimo può essere importante. La galleria di Casteggio (Oltrepo, Italia) propone opere di un artista americando, un importante surrealista texano, che vive a Vigevano: si chiama Joseph Kaliher. Cerchi su Amazon e trovi anche Pavia. Non male.

Da Economia e consumi di Fabrizio Guerrini 26 aprile 2014

 http://guerrini-pavia.blogautore.repubblica.it/2014/04/26/arte-pavese-due-storie-da-expo/

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 Scoperto un capolavoro inedito di Bernardino CAMPI (Reggio Emilia 1520–1591, attivo a Cremona, Milano, Mantova)



“Ritratto di Laura Locadelli in veste di Santa Cecilia all’organo” databile al 1560/75 – olio su tela cm 156×108,5

 

Luca Sforzini ha l’onore di annunciare la scoperta di un capolavoro inedito: “Ritratto di Laura Locadelli in veste di Santa Cecilia all’organo”. L’opera è attribuibile a Bernardino Campi (Reggio Emilia 1520–1591, attivo a Cremona, Milano, Mantova) e databile al 1560/75 – olio su tela cm 156×108,5.

 

Il dipinto in questione è ad oggi sconosciuto alla letteratura, e si trova attualmente in una collezione privata sul territorio italiano.

 

Modello di Santa Cecilia è con tutta evidenza Laura Locadelli, nipote di Bernardino Campi (che la raffigura anche in veste di Salomè nella Cattedrale di Cremona) – nipote che nel 1575 viene “data in sposa” al Malosso – Giovanni Battista Trotti detto il Malosso (Cremona 1555 – Parma 1619), erede della bottega di Bernardino.

Potrebbe quindi trattarsi di un dipinto ad uso privato, non escluso un dono di nozze di Bernardino agli sposi, o una dote della sposa, come ipotizza Mauro Di Vito che ringrazio per l’affascinante ipotesi.

Immediato è ovviamente il riferimento alla “Santa Cecilia e Santa Caterina d’Alessandria” della Chiesa di San Sigismondo a Cremona, opera di Bernardino Campi; di tale dipinto (cm 218×146) si ha notizia di due repliche coeve ora perdute (per l’ambasciatore della Repubblica Veneta a Milano e per Vespasiano Gonzaga).
Un esemplare con la sola Santa Cecilia (del tutto analogo al dipinto oggetto di analisi ma con maniche lunghe ed angioletti al posto degli strumenti musicali) è alla Santissima Trinità dei Pellegrini a Napoli; si ha notizia anche di una versione variata con Santa Cecilia e San Valeriano.

Degna di ulteriore attenzione è la variazione cromatica del dipinto ora scoperto rispetto all’opera conservata a San Sigismondo. 

Nel dipinto di San Sigismondo rosso/rosato e verde sono i colori della veste di Santa Caterina d’Alessandria – mentre a Santa Cecilia sono riservati il rosso ed il blu; nel dipinto ora scoperto il rosso ed il verde ornano invece Laura Locadelli/Santa Cecilia.

Sempre seguendo l’interessante chiave di lettura del Di Vito, il rosso ed il verde sono colori simbolici della sposa sapiente. Santa Caterina d’Alessandria, sposa mistica di Cristo, a San Sigismondo – con funzioni teologiche; Santa Cecilia (Laura Locadelli) nel dipinto in esame – con funzioni nuziali profane. 

 

Per ogni ulteriore informazione.

 

Dott. Luca Sforzini

Iscritto nel Ruolo dei Periti e degli Esperti

della Camera di Commercio di Pavia

Cat. XXII sub cat. 3 : antichità, oggetti d’Arte

331-4125138

 

Luca Sforzini Arte

Galleria d’Arte – Compravendita – Consulenze, Stime, Perizie e Valutazioni

http://www.lucasforziniarte.it

via Porro 2 – 27045 Casteggio (PV)

Tel :(+39) 331-4125138 – lucasforziniarte@libero.it

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Artista
Hilaire German Edgar Degas (Parigi, 19 luglio 1834 – Parigi, 27 settembre 1917) è stato un pittore e scultore francese. La maggior parte delle opere di Degas possono essere attribuite al grande movimento dell’Impressionismo, nato in Francia negli anni sessanta del diciannovesimo secolo in reazione alla pittura accademica dell’epoca. Gli artisti che ne facevano parte come Claude Monet, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Mary Cassatt, Berthe Morisot, Camille Pissarro, stanchi di essere regolarmente rifiutati al Salone Ufficiale si erano riuniti in una società anonima per mostrare la loro arte al pubblico. In genere le caratteristiche principali dell’arte impressionista sono il nuovo uso della luce e i soggetti all’aperto. Gli impressionisti riuscirono a rivoluzionare la pittura, accorgendosi che l’occhio umano non riceve dalla realtà un’immagine dettagliata, ma un insieme di colori che poi la mente rielabora in forme distinte. Così la prima impressione visiva divenne fondamento e scopo dell’impressionismo. Infatti questi artisti, lavoravano “en plein air” (all’aperto), ciò consentiva di riportare subito sulla tela la realtà visiva percepita. La tecnica pittorica consisteva in rapide pennellate di colore, non fissando i dettagli, ma dando un effetto cromatico – luminoso dell’insieme. Nella scelta dei temi prevalsero le situazioni in cui le vibrazioni luminose erano più percepibili perché accentuate dal movimento. Queste caratteristiche non sono sempre applicabili a Degas: anche se lui fu uno dei principali animatori delle mostre impressioniste, non trova un giusto posto nel movimento che asseriva la libertà di dipingere. Ai dipinti all’aperto egli preferiva «ciò che non si vede più nella memoria». Dirà un giorno a Pissarro: «Voi avete bisogno di una vita naturale; io di una fittizia.» Anche se Degas fece parte ufficialmente degli impressionisti, non era però a loro unito per i tratti distintivi della pittura. La sua situazione d’eccezionalità non sfuggì ai critici di allora: anche se il suo modernismo imbarazzante veniva messo in evidenza, fu il meno controverso degli artisti francesi dell’epoca.
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Michelangelo Merisi, o Amerighi, noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), è stato un pittore italiano. Formatosi tra Milano e Venezia e attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, è uno dei più celebri pittori italiani di tutti i tempi, assurto a fama universale solo nel XX secolo, dopo un periodo di oblio. I suoi dipinti, che combinano un’analisi dello stato umano, sia fisico, sia emotivo, con uno scenografico uso della luce, hanno avuto una forte influenza formativa sulla pittura barocca. Di animo particolarmente irrequieto, affrontò diverse vicissitudini durante la sua breve esistenza. Data cruciale per l’arte e la vita di Merisi fu quella del 28 maggio 1606, a partire dalla quale, essendosi reso responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte per lo stesso, dovette vivere in costante fuga per scampare alla pena capitale. Il suo stile influenzò direttamente o indirettamente la pittura dei secoli successivi costituendo un filone di seguaci racchiusi nella corrente del caravaggismo.
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Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese. Formatosi, dalla metà degli anni ottanta del XIX secolo, nell’Impressionismo, si distaccò dall’espressione naturalistica accentuando progressivamente l’astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandola durante tutta la sua piena maturità nelle isole dei mari del Sud-Ovest, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l’accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive. I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all’Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
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Jean-François Millet (Gréville-Hague, 4 ottobre 1814 – Barbizon, 20 gennaio 1875) è stato un pittore francese, considerato uno dei maggiori esponenti del Realismo. Jean-François Millet nacque il 4 ottobre 1814 a Gréville-Hague, in Normandia, primogenito di Jean-Louis-Nicolas e Aimée-Henriette-Adélaïde Henry Millet, entrambi poveri contadini. Millet iniziò la sua precoce ma irregolare formazione su impulso dei genitori, che lo affidarono ad alcuni precettori privati, per poi proseguire gli studi a Cherbourg, dove giunse nel 1833 a studiare pittura sotto la guida del ritrattista Paul Dumouchel, senza per questo trascurare di aiutare la famiglia nel duro lavoro dei campi. Nel 1835 passò a Lucien-Théophile Langlois, un emulo di Baron Gros, e nel 1837 grazie a una borsa di studio si trasferì a Parigi per frequentare l’École des Beaux-Arts sotto la direzione del pittore Paul Delaroche. Fu nella capitale francese che Millet esordì senza gloria, al Salon del 1839. Tornato a Cherbourg nell’inverno 1840-1841 vi incontrò Pauline-Virginie Ono, fanciulla della quale si invaghì perdutamente e che fu la sua prima moglie: purtroppo morì precocemente, tre anni dopo le nozze, lasciando l’artista sopraffatto dal dolore. Millet, in ogni caso, decise inizialmente di dedicarsi alla ritrattistica, genere che nella piccola Cherbourg riusciva a fruttargli qualche commissione, per poi adattarsi pur di vivere a una mediocre produzione di dipinti a soggetto mitologico. Fu nel 1846-47 che Millet strinse amicizia con Constant Troyon, Narcisse Diaz, Charles Jacque e Théodore Rousseau, artisti che formeranno il primo nucleo della scuola di Barbizon. Fu grazie a questi incontri che Millet iniziò a dedicarsi alla vita contadina, il tema più vicino alla sua sensibilità artistica. Nel 1848 iniziò a riscuotere i primi successi al Salon, che ospiterà le sue tele sino al 1865: tra le sue tele più acclamate vi fu Il seminatore (1850), tela che pur venendo aspramente criticata dalle firme più conservatrici riscosse i plausi dei repubblicani e dei critici di sinistra. Sotto l’influsso dei Barbizonniers, nel giugno 1849, Millet decise di trasferirsi definitivamente a Barbizon, sfruttando una piccola somma stanziatagli dallo Stato. L’artista sarebbe rimasto in questo paesino per il resto della sua vita, allontanandosene raramente in occasioni di due viaggi a Cherbourg, (1854, 1870) e a Vichy (1866, 1868). Fu proprio qui, tra l’altro, che licenziò le sue opere più celebri, come L’Angelus e Le spigolatrici, consolidando gradualmente la sua fama e arrivando persino a essere insignito del Cavalierato della Legion d’onore. Morì, infine, il 20 gennaio 1875. (Da Wikipedia)
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